In questa gelida mattina color antracite, la neve ha fatto di nuovo la sua comparsa e sembra decisa a continuare la sua danza. M’invade una quieta serenità che sa d’azzurro e di rosa nonostante il tempo e la notte difficile, priva di riposo. Fuori, oltre la finestra della mia camera, l’inverno sta trionfando sicuro di sé e tenebroso:il suo fascino è ogni anno lo stesso, sinistro e tagliente.
Mi mancano i languori dell’autunno, non posso negarlo. Assetata di dolcezza, rimpiango le sue infinite sfumature e la sua delicatezza. L’inverno assomiglia a un uomo troppo virile, tutto spigoli e angoli acuti, senza rari tratti femminili a ingentilirne gli umori: attira ma nel contempo ferisce. La sua è una bellezza estrema ma priva di quell’incanto senza nome che deriva dal rifiuto degli eccessi, dall’ambigua fusione di una varietà di colori, da un’apparente remissività che cela invece un’incontenibile energia.
Adesso, nel gelo impietoso del primo pomeriggio, i fiocchi di neve sono diventati più radi. La strada è vuota, priva di passi e di voci. Questo è un momento prezioso. Continuo a rimpiangere il timido sorriso del pallido sole autunnale, ma, sia pure in modo diverso – gli amori non sono mai tutti uguali -, amo anche quest’atmosfera implacabile nella sua durezza. Non è un amore fondato su una spontaneità di sentimento e d’attrazione che invade il cuore senza lasciare spazi vuoti; questo è un amore che nasce dalla riflessione, dalla volontà di sopravvivere al freddo e all’oscurità, dalla capacità di scorgere sotto un volto tanto arcigno il barlume di un breve sorriso, una profondità d’intenti, una purezza cristallina nonostante il rigido disincanto.
Il mio sentimento per l’inverno ha il tono maturo e forse un po’ rassegnato dei secondi amori, quelli che subentrano perché occorre proseguire, perché il cammino non è stato interamente percorso, perché non ci si può arrendere alla crudeltà del cielo. E perché in fondo l’attaccamento alla vita è così forte, sebbene non dichiarato, da voler sfidare la malignità degli dèi.