Il bel tempo domina imperterrito da molti giorni, e bisogna ammettere che il sole d’inverno è piacevole perché mitiga il gelo, almeno per qualche ora, e ci consente di uscire senza ombrello e senza sguazzare in pozzanghere fangose. Però, quando penso che verrà un’estate infuocata e che il sole ci perseguiterà con sadismo almeno per tre mesi interi, vorrei che arrivasse qualche giornata scura, nebbiosa o almeno un po’ cupa, una di quelle giornate che fanno amare follemente la casa, i termosifoni accesi, le coperte pesanti, ma anche certe belle passeggiate nei parchi cittadini semi-vuoti, frequentati da poche persone calme, riflessive e amanti del silenzio.
Perché passeggiare significa pensare, raccogliersi, sognare a occhi aperti, parlare con chi non c’è più, e d’estate, col sole a picco sulla zucca, il corpo odiosamente gocciolante e lo sbracamento generale tutt’intorno, niente di questo è possibile. Al massimo, se tutto va bene, si cammina come zombie tentando di articolare qualche pensiero appena decente con l’aiuto di un neurone ancora in vita; e questo tra musica a tutto volume, proveniente da vari luoghi di ritrovo che ormai spuntano come funghi, urla di persone che, a quanto pare, si divertono, e vari eventi cittadini rumorosissimi – balli, canti, frastuoni assortiti spesso indecifrabili. Uno strepitare continuo, insomma, un regredire al tempo delle clave e delle caverne.
E io ne sono qualcosa perché, di fronte al palazzo in cui vivo, sebbene per mia fortuna a grande distanza, c’è il Teatro delle Passioni e il mitico cinema all’aperto. Immagino di non dover spiegare oltre cosa succede durante le lunghe serate estive, sette giorni su sette. Una volta è persino capitato che, nello stesso momento, davanti al bar del teatrino suonassero musica e, a pochi metri di distanza, trasmettessero un film. Sembrava di trovarsi in un manicomio. Ma chi è il genio che inventa questi trattenimenti in contemporanea? Farne uno per volta no, eh?
Ecco che allora mi auguro che l’inverno faccia il suo dovere fino in fondo, e cioè che ci dispensi anche nebbia e pioggia e un po’ di neve, in modo da lasciarci immergere del tutto nell’atmosfera della stagione, per farcela gustare fino in fondo, col suo silenzio, la sua dignità, la sua compostezza.